Perdersi nell'U-topia: l'estasi

«Fuggiamo dunque verso la cara patria»[1] «C'è una doppia via per coloro che salgono e si elevano: parte la prima dal basso, la seconda è di coloro che sono già arrivati nel mondo intelligibile e vi hanno già posto il piede e devono quindi procedere in modo da raggiungere il limite ultimo di quel mondo: il viaggio è finito quand'essi arrivano al sommo dell'Intelligibile»[2] Sono queste le parole di Plotino per interpretare il «riposo del cammino e fine del viaggio» indicato da Platone nel VII libro della Repubblica.

Secondo G. Reale «non pochi interpreti sono caduti in errore e hanno confuso l'estasi con uno stato di incoscienza o con alcunché di irrazionale o iporazionale»[3] In questo caso ci troveremmo di fronte ad un mero perdersi dell'anima nella sfera del soprasensibile, ma non è così, perché il rispondere all'imperativo: «Spogliati di tutto»[4] «significa il far ritorno dell'anima a se stessa, il trovare quell'aggancio metafisico che la unisce non solo all'Essere e allo Spirito (ossia alla seconda ipostasi), ma all'Uno stesso (ossia alla prima ipostasi)»[5] «In verità, l'estasi plotiniana non è uno stato di incoscienza, bensì uno stato di iper-coscienza; non è qualcosa di irrazionale o iporazionale, bensì iper-razionale»[6] Questo perdersi è un trovarsi a livello più elevato, il più intimo e vero trovarsi.Ma la «fine del viaggio» non deve trarre in inganno: tanto in Platone quanto in Plotino la contemplazione del luogo al di là del luogo è il compimento di un viaggio, non dell'ultimo viaggio.

Il prigioniero della caverna ritorna nella caverna, ritorna dagli altri.

Plotino, a detta di Porfirio, durante il suo periodo di insegnamento raggiunse l'estasi quattro volte. Egli dice che l'estatico

è simile ad uno che, entrato nell'interno del penetrale, abbia lasciato dietro di sé le statue collocate nel tempio, quelle statue che, quando egli uscirà nuovamente dal penetrale, gli si faranno avanti per prime, dopo aver avuto l'intima visione e dopo essersi unito non con una statua, con una immagine, ma con Lui stesso: quelle statue che sono dunque, di secondo ordine [...] L'anima, [...] se scende in basso, scende al male, e cioè verso il non-essere, ma non al non-essere assoluto; invece, se corre sulla via opposta, giunge non ad altro ma a se stessa; ma "essere in sé sola e non nell'essere", vuol dire "in Lui"; e il contemplante diventa non essenza, ma "al di là dell'essenza", poiché si unisce a Lui. [...] Questa è la vita degli dei e degli uomini divini e beati: distacco dalle restanti cose di quaggiù, vita che non si compiace più delle cose terrene, fuga di solo a solo.»[7]



1 Plotino, Enneadi, I 6, 8

2 Plotino, Enneadi, I 3, 1

3 G. Reale, Storia della Filosofia Antica, Vita e Pensiero, vol. IV p. 603

4 Plotino, Enneadi, V 3, 17

5 G. Reale, Storia della Filosofia Antica, Vita e Pensiero, vol. IV p. 600

6 G. Reale, Storia della Filosofia Antica, Vita e Pensiero, vol. IV p. 603

7 Plotino, Enneadi, VI 9, 11

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